Tra Otto e Novecento: greco e latino ovvero lo scambio delle parti
Agli occhi dei seguaci del verbo filologico tedesco, l’arretratezza è impersonata nell’ateneo torinese da Tommaso Vallauri e si concentra attorno alla cattedra di Letteratura latina. Tuttavia, gli allievi del professore di latino non rivelano la stessa ostilità del maestro nei confronti della lezione metodica che viene dalla cultura tedesca.
Tra i primi scolari il nome più noto è quello di Giovanni Battista Gandino (Bra, Cuneo, 1827 - Bologna, 1905): formatosi negli anni che vedono la nascita della Facoltà di Lettere sabauda. Prima dell’avvento di Giuseppe Müller a Torino e all’indomani dell’Unità nazionale, Gandino è chiamato in qualità di professore di Letteratura latina all’Università di Bologna, città dove si compiono la carriera universitaria e il corso della vita. Della scuola vallauriana egli non perde la padronanza della lingua latina e l’abitudine a valersene per orationes o per carmina di natura celebrativa: la sua opera più fortunata è
Sulla generazione successiva a Gandino comincia a farsi sentire il riflesso della dimensione storico-filologica promossa da Müller e dagli studi della scuola di linguistica. Altri allievi di Vallauri, come Felice Ramorino (Mondovì, Cuneo, 1852 - Firenze, 1929) ed Ettore Stampini (Fenestrelle, Torino, 1855 - Torino, 1930), abbandonano la germanofobia del maestro e si convertono alla filologia. Più serio e meno estroso tra i due, Ramorino perfeziona l’adesione al metodo tedesco a Firenze, dove approda all’Istituto di Studi Superiori come vincitore di concorso per Letteratura latina. Diviene così collega di Girolamo Vitelli, il maggiore esponente della filologia formale del periodo. Il distacco da Vallauri si coglie appieno nel manuale di Letteratura romana (Milano, Hoepli, 1886, 19118) composto da Ramorino poco più che trentenne secondo i modelli storiografici d’oltre Reno.
Se Ramorino si stabilisce a Firenze, capitale della filologia classica italiana tra Otto e Novecento, a Torino rimane - anzi, ritorna da Messina, dove è stato chiamato nel 1889 in seguito a concorso - Ettore Stampini come successore di Vallauri in qualità di titolare di Letteratura latina. Messi a dura prova da beghe accademiche, i rapporti col maestro si guastano anche sul piano del metodo col progressivo avvicinamento dell’allievo alle ragioni della filologia. Punto d’arrivo di tale processo è la collaborazione di Stampini con la Casa editrice Loescher, presso la quale assume duplice incarico: la direzione della «
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Mentre i docenti di latino si vanno schierando sul fronte della filologia, proprio dalla cattedra torinese di Letteratura greca, per mano del successore di Giuseppe Müller, scoppia contro i seguaci del metodo filologico tedesco un'accesa polemica -destinata a durare negli anni- che alla questione del modo di studiare i classici mescola punte di crescente nazionalismo antigermanico e schegge di filosofie irrazionalistiche e antipositivistiche. Ne è protagonista Giuseppe Fraccaroli (Verona, 1849-Milano, 1918), allievo a Padova di Eugenio Ferrai, attivo come docente a Torino dal 1895 al 1906 (per poi passare a Pavia nel 1915, dopo interruzione dall'insegnamento). All’epoca dell’arrivo a Torino proveniente da tirocinio universitario a Palermo e a Messina, Fraccaroli vanta discrete credenziali in campo filologico, per derivazione dall’insegnamento di Ferrai e per personale esperienza culminata con gli studi dedicati alla traduzione e all’interpretazione di Pindaro. Bene: è appunto lo studioso di Pindaro a dare il via alla polemica contro il metodo filologico e a munire la strada su cui procederà Ettore Romagnoli negli anni immediatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale.
Il manifesto della polemica, che prende di mira la scuola filologica fiorentina del “tedesco” Vitelli, è costituito da un ponderoso volume fraccaroliano dedicato al "mistero dell'arte",
A Fraccaroli preme non tanto la pars construens della speculazione teorica, quanto la pars destruens, cioè l'attacco alla filologia del metodo scientifico che, a caccia di particolari, frantuma e uccide l'opera d'arte. Non a caso sono l'Iliade e l'Odissea a fornire molteplice campionatura di altezza artistica e costanti spunti di riflessione nell'arco del volume, il quale oppone la grandezza di Omero e l'unità poetica dei due poemi ai critici separatisti. Fraccaroli considera la 'questione omerica' come il frutto avvelenato dell'applicazione dell’esegesi razionalistica al fenomeno squisitamente irrazionale dell'arte.
Di fatto, con questo libro Fraccaroli crea le condizioni per l'incontro tra le nuove leve dell'antichistica italiana e il decollante neoidealismo crociano: Così la filologia - degradata presto a filologismo, a erudizione pedante fine a se stessa e sorda al bello - diventa il bersaglio verso il quale l'interprete di Pindaro e il filosofo dell'estetica conducono battaglie quasi parallele nel tempo e convergenti nei risultati. Chiusa la parentesi torinese, gli attacchi fraccaroliani non conoscono sosta: la filologia viene archiviata come estranea al mondo della poesia e inadeguata a svolgere effettiva funzione critica.
Fin qui la polemica è tutta interna all'accademia e prende di mira la filologia di stampo tedesco. Ma nel giro di pochi anni il clima che si crea in Italia alla vigilia e durante la Prima Guerra Mondiale sancisce il definitivo abbraccio tra nazionalismo antigermanico e la guerra dei 'nuovi' classicisti contro il metodo filologico. Mondo classico e coscienza nazionale è binomio caro a Fraccaroli, che così titola un intervento del 1914 comparso su «
Su questo terreno per primo si è mosso Ettore Romagnoli (Roma, 1871-1938; professore di Letteratura greca a Catania, Padova, Pavia, Milano e infine nella capitale), il quale già in una conferenza pindarica del 1909 bolla il servilismo alla scienza straniera, per poi tuonare contro la "bestialità teutonica" e l'antipatriottismo dei seguaci italiani della filologia tedesca nel libello più noto dell'intera contesa:
Il compito di rintuzzare le tesi di Romagnoli tocca a Giorgio Pasquali (Roma, 1885 - Belluno, 1952), che nel 1915 succede a Vitelli sulla cattedra fiorentina di Letteratura Greca e inizia una prestigiosa carriera, diventando in breve, nella sua qualità di "mediatore della scienza tedesca", princeps philologorum di casa nostra, punto di riferimento per quanti non riescono ad appassionarsi alla critica estetizzante.