Dossier

La mineralogia in Piemonte e il contributo dell'Accademia delle Scienze

Le collezioni mineralogiche a Torino

Le collezioni universitarie vennero via via arricchite grazie all'attività dei vari professori che, a partire dal Sismonda, si succedettero nella cattedra di Mineralogia; al momento della suddivisione delle collezioni nel settore mineralogico e in quello geologico, avvenuta nel 1878, in occasione del trasferimento a Palazzo Carignano, la collezione annoverava 10422 minerali e 7461 rocce. Successivamente (1935) il Museo di Mineralogia venne spostato nell'antica sede dell'Ospedale Maggiore di S. Giovanni Battista e della città di Torino.

In realtà a Torino esiste anche una seconda collezione mineralogica di notevole importanza, la cui origine è, in un certo senso, legata al nome di due Soci dell'Accademia delle Scienze, Spirito Benedetto Nicolis de Robilant e Carlo Antonio Napione.

A questo proposito, bisogna premettere che i regnanti della Casa Sabauda furono sempre molto sensibili ai problemi delle materie prime e della metallurgia, in relazione alle attività belliche: per questo motivo nel 1749 Carlo Emanuele III aveva inviato in Sassonia il de Robilant con quattro cadetti di artiglieria per studiarne le miniere e le industrie collegate, in particolare quelle metallurgiche; la stessa cosa accadrà più tardi al Napione. Questi illustri e coltissimi ufficiali raggiunsero poi i più alti gradi militari, contribuendo in modo determinante allo sviluppo delle scienze connesse alle attività di guerra; ma, in particolare, possono essere considerati i veri fondatori della scuola mineralogica e mineraria piemontese. Infatti il de Robilant pubblicò un importante lavoro nelle Memorie di questa Accademia ("Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, années MDCCLXXXIV-V", I, pag. 191-304) sulle risorse minerarie degli Stati Sardi e la biblioteca della Accademia conserva ancora le relazioni originali del de Robilant sui suoi viaggi di studio.

Al Napione si deve invece il primo trattato italiano di Mineralogia (Elementi di Mineralogia esposti a norma delle più recenti osservazioni e scoperte, Reale Stamperia, Torino, 1797) dove vengono discussi i caratteri esterni, la classificazione e la descrizione dei minerali secondo il sistema di Werner, di cui il Napione era stato allievo a Freyberg nel 1788. Poiché a quell’epoca né i metodi chimici d'analisi né quelli fisico-cristallografici permettevano di identificare con sicurezza un minerale, il Napione, seguendo il Werner, elaborò un sistema di classificazione basato sulle «caratteristiche complesse» descrivendo in dettaglio le proprietà fisiche quali ad esempio il colore, la lucentezza, la trasparenza, la coesione, la frattura, la durezza, la densità, la conducibilità termica, le configurazioni esterne. La sua classificazione rappresentò per quei tempi il culmine della fase descrittiva della mineralogia poiché i relativi metodi di identificazione, non richiedendo l’uso di particolari strumenti, rispondevano bene alle necessità pratiche, in particolare a quelle dell’industria mineraria.

Ritornando alle collezioni mineralogiche, va ricordato che nel 1822 venne posta la prima base di una legislazione sulle miniere e creata un’apposita scuola: in relazione a questi fati presso l'Azienda Generale dell'Interno venne iniziata una raccolta statistico-mineralogica che comprendeva le rocce e i minerali utili, i combustibili fossili degli Stati di Sardegna; questo incarico venne affidato a Vincenzo Barelli che nel 1835 pubblicò un catalogo ragionato di tale raccolta, i Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna ovvero Catalogo ragionato della raccolta formatasi presso l'Azienda Generale dell'Interno, che elencava più di 4000 esemplari e dava un'adeguata idea delle miniere e delle cave degli Stati sardi.

Dopo la morte del Barelli (1843) questa collezione rischiò di andare dispersa: è merito di Quintino Sella l'aver ottenuto nel 1853 che venisse affidata all'Istituto Tecnico di Torino, dove venne riordinata dal Sella stesso e ampliata, anche con la donazione della sua splendida raccolta privata, fino a raggiungere quasi 18.000 campioni.

Questa collezione passò poi al Politecnico di Torino, in relazione alla trasformazione dell'Istituto Tecnico in Scuola di Applicazione per gli Ingegneri (1859), dalla cui fusione con il Museo Industriale Italiano nel 1906 sorse appunto il Politecnico.

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