Dossier

Filologia classica

Il Settecento, dalla riforma universitaria di Vittorio Amedeo II a Tommaso Valperga di Caluso

Vittorio Amedeo II La riforma dell'Università di Torino voluta da Vittorio Amedeo II giunge a maturazione negli anni che vanno dal 1717 al 1721. Tra i progetti di rifondazione il Parere sul miglior ordinamento della Regia Università di Torino (1718) di Scipione Maffei (1675-1755) mostra interesse per il settore degli studi classici. Il documento indica come discipline umanistiche le lettere toscane, le lettere latine e greche, la grammatica greca, le lettere ebraiche e l’arabo. In dettaglio, si raccomanda di affiancare al docente di latino «un dotto Maestro di Lettere Greche, il quale è meraviglia e vergogna somma come manchi in oggi quasi in tutte le Accademie italiane».

Oltre ai consigli di scegliere docenti italiani e di abbandonare la Retorica (le cattedre di eloquenza italiana e latina) per sostituirla con l'insegnamento della Istoria universale e della Istoria letteraria, si sottolinea la necessità di introdurre nuovi metodi di indagine sintetizzati nella nozione di Critica (critica del testo, esegesi e commento su basi linguistiche, antiquarie, paleografiche). Il Parere di Maffei resta però sulla carta. La riforma, attuata dai giuristi siciliani Niccolò Pensabene (1660 - 1730; nominato conservatore) e Francesco d'Aguirre (1682 - ca. 1773; nominato avvocato fiscale dell’Università), privilegia i settori tradizionali di teologia, diritto e medicina, a cui vanno in maggioranza le 25 cattedre del nuovo organico, ma concede spazio anche agli studi classici e non è infelice nella scelta dei docenti. Discreto latinista è il maltese Francesco Domenico Bencini (1664-1744), chiamato a insegnare teologia dogmatica; buon latinista è il padovano Antonio Pasini, professore di lingua ebraica, che introduce lo studio sistematico delle antichità orientali a Torino e nel 1731. Pasini, con Giuseppe Antonio Badia di Ancona (professore di medicina nell'Ateneo rinnovato), pubblica il primo dizionario di latino-italiano uscito in Piemonte.

Ma tra tutti spicca il napoletano Andrea Bernardo Lama, «homo sane in graecis et latinis litteris probatus et nobilis», reduce da esperienze parigine e romane. Lama viene chiamato a Torino nel 1718 per lettere greche, nel 1720 è nominato professore di eloquenza latina e italiana; in tale veste pronuncia la prolusione inaugurale della nuova Università (In sollemni Taurinensis Academiae instauratione Oratio habita ab A. Lama eloquentiae professore, stampata con altre da padre Joseph Roma, professore di fisica ed etica: B. A. Lamae orationes, Aug. Taur., Typ. Radix, 1728). Il suo insegnamento dura fino al '29 - anno in cui lascia Torino per Milano e poi per Vienna in seguito a polemiche coi Gesuiti - e si segnala per la 'modernità' con cui esorta allo studio delle litterae humaniores. A lui si devono anche le Istruzioni pel regolamento delle scuole di lingua latina e rettorica (parte del Regolamento universitario del 1729), in cui si aggiorna la prassi didattica rispetto alla ratio studiorum gesuitica.

È sostituito per eloquenza latina dal romano Domenico Regolotti allievo di Gravina e già titolare di greco (noto per il suo Teocrito volgarizzato, Torino, Accademia Reale, 1729), mentre sulla cattedra di eloquenza italiana è chiamato il modenese Girolamo Tagliazzucchi (1674-1751), già docente di greco nel Collegio dei Nobili a Mantova e poi, in via privata, a Milano. Maestro di Giuseppe Baretti e protagonista di beghe accademiche, Tagliazzucchi alimenta lo studio delle lettere moderne di "buon gusto" muratoriano e non mediocre preparazione classica, come mostra il suo Ragionamento intorno alla maniera d'ammaestrare la gioventù nelle umane lettere premesso alla Raccolta di prose e poesie a uso delle regie scuole italiane (1734; Milano, Soc. Tip. de' Classici Italiani, 1808).

Da questa generazione in poi l'area umanistica non conosce silenzi e trova nei tipi della Stamperia Reale (fondata nel 1740) idoneo strumento di diffusione editoriale, a supporto dei corsi universitari che propongono temi costanti (Literariae exercitationes, Romanorum antiquitates, Institutiones linguae Graecae, Praecepta artis poeticae, Praecepta rhetoricae, De oratoria institutione, Auctores optimi eloquentiae, Graeci Italique scriptores etc.) per bocca di docenti diversi, non tutti di eguale preparazione o efficacia didattica. Difficile riesce infatti porre sullo stesso piano, a dispetto delle feroci critiche a lui indirizzate da Baretti, la dottrina del padovano Giuseppe Bartoli (1717-1788), professore di eloquenza italiana e lettere greche, nonché archeologo e "regio antiquario", e la modesta levatura dell'abate Giovanni Domenico Chionio, titolare di eloquenza latina dal 1745, forbito 'ciceroniano' senza spessore culturale. Al Bartoli, passato a Parigi, succede nel 1763 l'abate Francesco Domenico Triveri (~ 1769), autore di poemi sull'Assunzione e sulla Redenzione, mentre successore di Chionio è il saluzzese Goffredo Franzini, professore di eloquenza latina dal 1770: campioni entrambi di provincialismo.

Soprattutto se confrontati con colleghi di altre discipline che vantano non minore formazione classica e meriti maggiori: il barnabita savoiardo Hyacinthe-Sigismond Gerdil (1718-1802), professore di filosofia morale elevato alla porpora cardinalizia (1777); il monregalese Giambattista Beccaria, chiamato dopo un tirocinio romano come maestro di grammatica e retorica alla cattedra di fisica; Carlo Denina, professore di eloquenza italiana e lettere greche dal 1770 al 1777, anno in cui lascia il Piemonte e inizia un iter europeo scandito dai soggiorni a Venezia, alla corte di Prussia e infine nella capitale francese. Le sorti scolastiche dell'abate Denina sono legate ai tre volumi de Le rivoluzioni in Italia (1769-70): il I volume gli procura la cattedra di retorica al Collegio superiore; il II gli vale la successione universitaria a Triveri; il III, che pone tra le cause della decadenza italica l'educazione clericale, gli guadagna l'ostilità di molti, incrementata via via dall'autonomia di giudizio che guida la vena storiografica dell'autore, tra salotti stranieri e severe sedi votate alla ricerca (quali l'Accademia delle Scienze, nata come società privata nel 1757). Vanno qui segnalate le opere di carattere storico-letterario: il Discorso sopra le vicende della letteratura (1760), il Saggio sulla letteratura italiana (1762), il Discorso sopra l'eccellenza dei Greci paragonati ai Latini (prolusione del 1770, poi pubblicata separatamente a Venezia nel 1787), la Istoria politica e letteraria della Grecia libera (Torino 1782; Venezia, Graziosi, 17842). Sono scritti che si raccomandano per l'ottica 'moderna' con cui si pensano la storia letteraria e i rapporti coi classici. Tra l’altro, in essi si prende congedo dal latino dei dotti, mentre il termine letteratura si fa carico di esprimere quanto si soleva definire globalmente "belle lettere"; vi si leggono inoltre osservazioni sul «tardo progresso» della letteratura latina, sull'utilità dello studio delle lettere greche e la loro superiorità nelle «opere di immaginazione», secondo prospettive che coinvolgono anche la produzione del presente.

Dopo Denina, la tradizione erudita riprende il sopravvento, anche se si deve registrare un fatto comunque positivo, vale a dire l’allontanamento dei Gesuiti. Nel 1778 è nominato professore di eloquenza italiana e greco il canavesano Giovanni Bernardo Vigo (1719-1805), che due anni dopo passa a eloquenza latina e lascia memoria di sé per futili poemetti latini d'argomento disparato, dai tartufi alla Sindone. Sulla cattedra di Denina, dopo la parentesi del monregalese Giovanni Battista Mazzucchi (di tenue e panegiristica musa poetica), nel 1784 è chiamato Francesco Regis di Montalto di Mondovì (1749-1811), «graecis literis et latinis eruditus», il miglior grecista fino ad allora attivo a Torino, noto per un buon volgarizzamento della Ciropedia senofontea (1809; rist. 1828). Successore di Vigo per eloquenza italiana è il ligure Giuseppe Biamonti (1762-1824), già professore d'eloquenza italiana e latina a Bologna e per un breve periodo di lettere latine e greche nell'Università di Genova, autore di tragedie e poemi, tradizionalista nella questione della lingua. Postume sono pubblicate le sue Opere precettive e poetiche (1841), sintesi dell'erudizione classica profusa nell'insegnamento e nella pratica poetica; nel II vol. si legge l'orazione Per le solenni esequie di T. Valperga Caluso (1815).

Il conte Tommaso Valperga di Caluso (1737-1815) fu il maestro degli intellettuali piemontesi di fine Settecento. Alla sua precoce carriera militare si susseguono fasi discontinue: attenzione di sapore 'vichiano' per antichità, filosofia e scienze, interesse per la massoneria, crisi religiosa e ingresso nell'Ordine di S. Filippo Neri. Queste comportano non comune conoscenza delle lingue classiche e dell'ebraico, amicizia con Vittorio Alfieri, passione per l'astronomia e contributi alla fondazione del calcolo infinitesimale, variegati esercizi poetici e letterari non sempre à la page; insegnamento fuori e dentro le aule universitarie.

Malta, Napoli, Roma e Lisbona sono le tappe dell'itinerario umano e formativo di Valperga di Caluso, in ideale raccordo tra le varie anime della cultura europea. A Lisbona, nel 1772, avviene l'incontro col giovane Alfieri e prende vita un sodalizio in grado di resistere fino alla scomparsa del poeta astigiano. Di ritorno a Torino nel 1773, il dotto abate si fa animatore culturale al di fuori dell'Università, nelle "conversazioni" tenute nel salotto di Maria Giuseppina di Carignano e nei locali dell'Accademia delle Scienze, di cui è segretario perpetuo dal 1783. Solo nel 1805, durante il periodo francese, gli viene conferita la cattedra di lingue orientali (greco compreso) nell'Ateneo torinese. L’opera di Caluso mal sopporta barriere disciplinari: studi matematici e astronomici, versi tardo-arcadici (sotto il nome di Euforbo Melesigenio) e poemetti epicheggianti, incursioni nei territori della letteratura e della lingua italiana, razionalismo misticheggiante dei Principes de philosophie pour les initiés aux mathématiques (1811), introduzioni alla conoscenza della lingua copta, commenti biblici e interventi sulle tecniche dell'esegesi e sulle poetiche classiche e moderne. È versatilità che suscita apostrofi ammirate nei contemporanei: «Didymus Taurinensis», «Biblioteca vivente e Museo ambulante», «Montaigne redivivo», «secondo Pitagora». Nella vasta cultura del poliedrico personaggio si possono ravvisare tutti gli ingredienti che accompagnano il passaggio dalla tradizione erudita alla cultura ottocentesca.

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