Il primo Ottocento: Carlo Boucheron e Amedeo Peyron
Sono eredi di Valperga i due discepoli Carlo Boucheron e Amedeo Peyron: gli aspetti eruditi tradizionali spettano al primo, al secondo invece competono gli aspetti innovativi, intesi come aggiornamento culturale e novità di metodo.
A Torino la tradizione umanistica ed erudita - capace di opporre resistenza a ogni cambiamento - nei primi decenni dell'Ottocento è rappresentata dal torinese Carlo Boucheron. Giunto all’insegnamento durante l'occupazione francese, nel 1811 ottiene - su proposta dello stesso Valperga di Caluso - la cattedra di eloquenza greca a cui unisce, poco dopo, quella di eloquenza latina. Autore di scritti biografici, iscrizioni ufficiali e orazioni di apparato, si affida a forbita scrittura latina che gli vale fama di «illustre latinista». Il testo più fortunato è la biografia del maestro (
Proprio in quegli anni la filologia dei testi classici e dei testi sacri muove passi decisivi per uscire dalla situazione di stallo che risale addirittura alla Controriforma. Mentre l’Italia dotta della Restaurazione plaude al gesuita bergamasco Angelo Mai (1782-1854), scopritore ed editore non sempre irreprensibile di classici (Frontone, Iseo, Cicerone, Simmaco ecc.), si assiste alle prime prove del più grande discepolo di Valperga di Caluso, vale a dire l’abate Amedeo Peyron. Peyron succede al maestro sulla cattedra di lingue orientali (1815) e fa il suo ingresso nel 1816, insieme con Boucheron, nell'Accademia delle Scienze (di cui è tesoriere dal 1826 sino alla morte). L’abate Peyron affrontò poi incarichi ufficiali nei settori scolastici e dei beni culturali (direttore della Biblioteca Universitaria, curatore della collezione egizia di Bernardino Drovetti; Rettore nel triennio 1826-1829; membro del Magistrato della Riforma, del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica e della Giunta di antichità e belle arti; senatore del Parlamento subalpino) fino al ritiro dalla vita pubblica e dalla docenza – ma non dagli studi - a far data dal 1849.
Fin dagli inizi l’attività di Peyron si mostra aperta alle istanze dello studio scientifico dell’antichità di matrice germanica secondo i programmi enunciati da Friedrich August Wolf (1759-1824) nella Esposizione della scienza dell’antichità (
Ma non basta: la storiografia di Amedeo Peyron non si misura solo col mondo antico, perché la patria sabauda può diventare a sua volta oggetto di ricostruzione storica, come prova l’indagine condotta sul quinquennio 1638-42 di guerra civile piemontese tra la fazione filo-spagnola dei principi Maurizio e Tommaso (capostipite del ramo Savoia-Carignano a cui appartiene Carlo Alberto) e la fazione filo-francese raccolta intorno alla Reggente Cristina di Francia. Nel riscrivere un periodo convulso di storia patria (
La dimensione internazionale dei suoi studi, oltre che dalle sedi estere che ne accolgono i lavori, è confermata dalle Accademie, in Italia e fuori, che lo annoverano come socio (a partire dall’Accademia delle Scienze di Torino). I contatti con l’estero sono testimoniati anche dal copioso scambio epistolare che lo lega, ben oltre i confini dello stato piemontese, a numerosi viri docti del suo tempo. Tuttavia, in patria egli appare come disincantato testimone delle vicende storiche che portano allo stato unitario. Poco indulgente nei confronti del 'panlatinismo' della retorica accademica, assiste in disparte al trapasso dall’erudizione di stampo umanistico al metodo filologico di derivazione tedesca che occupa la seconda metà dell'Ottocento e di cui egli si può comunque considerare ispiratore ed esempio. L’abate non lascia scuola in senso stretto, se si esclude il nipote Bernardino Peyron (1828-1903), orientalista e bibliotecario dell'Ateneo torinese.
Un contributo all’aggiornamento degli studi classici viene dalla politica culturale che, su impulso di Peyron, viene svolta dall’Accademia delle Scienze. Che a tale politica Peyron non sia estraneo, si ricava dall’attacco dell’epistola del 2 febbraio 1823 indirizzata a Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), ambasciatore di Prussia alla corte pontificia, storico di Roma antica, in rapporto con Angelo Mai e con Giacomo Leopardi, a proposito delle scoperte di testi ciceroniani:
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La parte attiva dell’abate in questo caso è indubbia; e certo altrettanto favorevole è il suo giudizio quando si tratti di cooptare in Accademia antichisti di area tedesca. Se si scorre l’elenco generale per quanto concerne la Classe di scienze morali, storiche e filologiche, si vede che l’Accademia non è restia ad aprire le sue porte ai filologi e agli storici antichi tedeschi, come prova la presenza di August Boeckh (1785-1867), Friedrich Ritschl (1806-1876) e Theodor Mommsen (1817-1903) tra i soci corrispondenti. Insomma, tra le aperture europee di Peyron e la concezione internazionale dei saperi propria dell’Accademia delle Scienze si avverte forte sintonia, perché in tale sede lo studio dell’antico ritrova la sua natura libera da frontiere.