Dossier

Filologia classica

Il primo Ottocento: Carlo Boucheron e Amedeo Peyron

Sono eredi di Valperga i due discepoli Carlo Boucheron e Amedeo Peyron: gli aspetti eruditi tradizionali spettano al primo, al secondo invece competono gli aspetti innovativi, intesi come aggiornamento culturale e novità di metodo.

A Torino la tradizione umanistica ed erudita - capace di opporre resistenza a ogni cambiamento - nei primi decenni dell'Ottocento è rappresentata dal torinese Carlo Boucheron. Giunto all’insegnamento durante l'occupazione francese, nel 1811 ottiene - su proposta dello stesso Valperga di Caluso - la cattedra di eloquenza greca a cui unisce, poco dopo, quella di eloquenza latina. Autore di scritti biografici, iscrizioni ufficiali e orazioni di apparato, si affida a forbita scrittura latina che gli vale fama di «illustre latinista». Il testo più fortunato è la biografia del maestro (De Thoma Valperga Calusio, 1833), che diventa oggetto di corsi universitari volti a perpetuare vitalità della lingua di Roma. Il vero merito di Boucheron sta nella direzione, per i tipi dell'editore torinese Pomba, della Collectio Latinorum Scriptorum cum notis (108 volumi usciti tra il 1818 e il 1835) e nelle prefazioni latine per molti degli autori ivi stampati. Iniziativa utile, anche se la collana si limita a ristampare testi editi all’estero.

Proprio in quegli anni la filologia dei testi classici e dei testi sacri muove passi decisivi per uscire dalla situazione di stallo che risale addirittura alla Controriforma. Mentre l’Italia dotta della Restaurazione plaude al gesuita bergamasco Angelo Mai (1782-1854), scopritore ed editore non sempre irreprensibile di classici (Frontone, Iseo, Cicerone, Simmaco ecc.), si assiste alle prime prove del più grande discepolo di Valperga di Caluso, vale a dire l’abate Amedeo Peyron. Amedeo Peyron busto con dedica Peyron succede al maestro sulla cattedra di lingue orientali (1815) e fa il suo ingresso nel 1816, insieme con Boucheron, nell'Accademia delle Scienze (di cui è tesoriere dal 1826 sino alla morte). L’abate Peyron affrontò poi incarichi ufficiali nei settori scolastici e dei beni culturali (direttore della Biblioteca Universitaria, curatore della collezione egizia di Bernardino Drovetti; Rettore nel triennio 1826-1829; membro del Magistrato della Riforma, del Consiglio Superiore della Istruzione Pubblica e della Giunta di antichità e belle arti; senatore del Parlamento subalpino) fino al ritiro dalla vita pubblica e dalla docenza – ma non dagli studi - a far data dal 1849.

Fin dagli inizi l’attività di Peyron si mostra aperta alle istanze dello studio scientifico dell’antichità di matrice germanica secondo i programmi enunciati da Friedrich August Wolf (1759-1824) nella Esposizione della scienza dell’antichità (Darstellung der Alterthums-Wissenschaft, 1808). Il primo lavoro di natura filologica è l'edizione dei frammenti di Empedocle e di Parmenide accompagnata da ricerche sul commentario di Simplicio al De coelo di Aristotele (Empedoclis et Parmenidis fragmenta ex codice Taurinensis Bibliothecae restituta et illustrata, Lipsiae, Weigel 1810), diffuso in Germania. Così Peyron entra nella comunità internazionale dei classicisti e pone termine al lungo digiuno di attività editoriale che ha contraddistinto fino a quel momento la storia degli studi classici sabauda. Il catalogo dei manoscritti lasciati dal Caluso alla Biblioteca Reale (Notitia librorum manu typisve descriptorum qui donante ab. Valperga-Calusio v. cl. illati sunt in reg. Taurinensis Athenaei Bibliothecam, Lipsiae, Weigel, 1820) segna un passo avanti nella storia della descrizione moderna dei codici. La successiva edizione dei frammenti di orazioni ciceroniane da un palinsesto della Regia Bibliotheca Taurinensis (Stuttgardiae et Tubingae, Cotta, 1824), mentre conferma la perizia critica del curatore, rivela per confronto le insufficienze metodiche e la scarsa acribia di Angelo Mai, che in analoga impresa si era cimentato su di un palinsesto dell’Ambrosiana. Lo studio e l'edizione dei frammenti del Codice Teodosiano da un palinsesto dell'XI sec. (perduto nell'incendio della Biblioteca torinese del 1908) costituiscono un capitolo di rilievo nella storia del diritto antico (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXVIII, 1824). I lavori sui papiri greci del Museo Egizio di Torino aprono invece nuove vie alla papirologia documentaria e alla conoscenza dell'Egitto tolemaico (Papyri Graeci Regii Taurinensis Musei Aegyptii, I, Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXI, 1826; II, ibid., vol. XXXIII, 1828). Intervallati a lavori di più stretta pertinenza orientalistica e di ordine linguistico vanno segnalati mai interrotti studi di storia greca. Studi che culminano nella traduzione dell’opera di Tucidide: Della guerra del Peloponneso libri VIII, volgarizzati ed illustrati con note e appendici (I-II, Torino, Stamp. Reale, 1861). Gli studi raccolti in appendice mostrano come nell’affrontare questioni d’ordine testuale o generale, la filologia si sostanzi di senso storico e di impegno morale: in qualità di storico antico Peyron sa leggere i processi del suo tempo attraverso lo specchio della storia greca.

Ma non basta: la storiografia di Amedeo Peyron non si misura solo col mondo antico, perché la patria sabauda può diventare a sua volta oggetto di ricostruzione storica, come prova l’indagine condotta sul quinquennio 1638-42 di guerra civile piemontese tra la fazione filo-spagnola dei principi Maurizio e Tommaso (capostipite del ramo Savoia-Carignano a cui appartiene Carlo Alberto) e la fazione filo-francese raccolta intorno alla Reggente Cristina di Francia. Nel riscrivere un periodo convulso di storia patria (Notizie per servire alla storia della Reggenza di Cristina di Francia, Duchessa di Savoia, «Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino», s. II, vol. XXIV, 1868), Peyron corregge tradizioni di parte senza incorrere in nuove partigianerie. Così lo storico sabaudo si aggiunge allo storico antico, al papirologo e all’antichista, al biblista e all’esperto di lingue orientali, all’egittologo e all’esploratore e ricercatore di manoscritti. Ma anche allo studioso di problemi scolastici interessato agli aspetti pedagogici dell'insegnamento e alle forme concrete della trasmissione dei saperi (come mostra lo scritto Dell'istruzione secondaria in Piemonte, 1851). Va però precisato che la cifra che conferisce aspetto unitario alla versatilità appresa alla scuola di Caluso sta nella indagine filologica sperimentata su tutti i documenti, antichi e moderni, storici e letterari, religiosi e profani. Amedeo Peyron è l'unico vero filologo classico che l'Ateneo di Torino annoveri lungo l’Ottocento, di statura non inferiore agli studiosi d’oltre Reno.

La dimensione internazionale dei suoi studi, oltre che dalle sedi estere che ne accolgono i lavori, è confermata dalle Accademie, in Italia e fuori, che lo annoverano come socio (a partire dall’Accademia delle Scienze di Torino). I contatti con l’estero sono testimoniati anche dal copioso scambio epistolare che lo lega, ben oltre i confini dello stato piemontese, a numerosi viri docti del suo tempo. Tuttavia, in patria egli appare come disincantato testimone delle vicende storiche che portano allo stato unitario. Poco indulgente nei confronti del 'panlatinismo' della retorica accademica, assiste in disparte al trapasso dall’erudizione di stampo umanistico al metodo filologico di derivazione tedesca che occupa la seconda metà dell'Ottocento e di cui egli si può comunque considerare ispiratore ed esempio. L’abate non lascia scuola in senso stretto, se si esclude il nipote Bernardino Peyron (1828-1903), orientalista e bibliotecario dell'Ateneo torinese.

Un contributo all’aggiornamento degli studi classici viene dalla politica culturale che, su impulso di Peyron, viene svolta dall’Accademia delle Scienze. Che a tale politica Peyron non sia estraneo, si ricava dall’attacco dell’epistola del 2 febbraio 1823 indirizzata a Barthold Georg Niebuhr (1776-1831), ambasciatore di Prussia alla corte pontificia, storico di Roma antica, in rapporto con Angelo Mai e con Giacomo Leopardi, a proposito delle scoperte di testi ciceroniani:

«Ill.mo Sig. Cavaliere, / Mi reco a dovere il parteciparle la nuova che la nostra R. Accademia delle Scienze e Lettere volle nella sua ultima tornata sulla mia proposizione nominare V.S. Ill.ma a Socio Corrispondente. Per alcuni riguardi non possiamo da più anni nominare soci stranieri ordinari, altrimenti questo titolo Le avrei fatto dare che meglio si conveniva ai meriti di Lei e mi stringeva più da vicino a V.S.; comunque io non poteva far di più».

La parte attiva dell’abate in questo caso è indubbia; e certo altrettanto favorevole è il suo giudizio quando si tratti di cooptare in Accademia antichisti di area tedesca. Se si scorre l’elenco generale per quanto concerne la Classe di scienze morali, storiche e filologiche, si vede che l’Accademia non è restia ad aprire le sue porte ai filologi e agli storici antichi tedeschi, come prova la presenza di August Boeckh (1785-1867), Friedrich Ritschl (1806-1876) e Theodor Mommsen (1817-1903) tra i soci corrispondenti. Insomma, tra le aperture europee di Peyron e la concezione internazionale dei saperi propria dell’Accademia delle Scienze si avverte forte sintonia, perché in tale sede lo studio dell’antico ritrova la sua natura libera da frontiere.

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