Il Mezzo Secolo d’Oro: l’arrivo a Torino di Moleschott e Bizzozero
Molti vitalisti cercavano di interpretare il flusso vitale con l’anima. Jakob Moleschott, un medico olandese (era nato a s’Hertogenbosch), laureato però a Heidelberg, non poteva condividere questa mescolanza di concetti metafisici e trascendenti con la realtà materiale della vita. Scrisse vari libri, ma soprattutto due -
A Torino Moleschott era praticamente sconosciuto. La Facoltà medica continuava a muoversi lungo gli schemi del vitalismo, ignorando ciò che avveniva al di fuori. Soltanto il fisiologo Secondo Berruti, ex-giacobino temperatosi con gli anni, allievo di Lorenzo Martini, il quale lo aveva istruito soltanto sui concetti della Fisiologia teorica, sentì il bisogno di inaugurare un Laboratorio di Fisiologia sperimentale, seguendo l’esempio di fisiologi francesi e tedeschi. Il suo Laboratorio, creato nel 1850, fu sede di sperimentazioni, ma di modesto livello. A Berruti resta comunque il merito di essere stato il primo Fisiologo in Italia ad avere capito la necessità della sperimentazione. Non ne ebbe grandi riconoscimenti e nessun vantaggio.
Ben diverso, invece, fu il successo del Laboratorio di Fisiologia sperimentale creato a Pavia da Eusebio Oehl, scienziato dal nome tedesco, ma nato a Lodi. Certamente a Pavia, che fino al 1859 appartenne all’Impero asburgico, il travaso di concetti maturati nel mondo tedesco era stato più facile. Nel Laboratorio di Oehl lavorarono sperimentalmente molti giovani ed uno di essi, Giulio Bizzozero, fece in questa sede le sue prime esperienze.
Nel 1861 un avvenimento sconvolse la quiete vitalistica della Facoltà Medica di Torino. Il Ministro, con atto d’imperio, mise a riposo il povero Berruti, e nominò al suo posto, come professore ordinario di Fisiologia, il materialista Jakob Moleschott. L’idea di questa nomina era già venuta al Cavour, il quale aveva fatto contattare da un torinese residente a Zurigo, il De Bonis, Moleschott a proposito di una possibilità per lui di essere nominato a Torino. Il passo decisivo, però, venne fatto da Francesco De Sanctis, l’esule di Morra Irpina accolto come professore a Torino, che teneva in quel tempo un corso di Letteratura Italiana al Politecnico di Zurigo. Moleschott, che amava la letteratura italiana, lo frequentò e ne divenne amico. Quando De Sanctis divenne Ministro della Pubblica Istruzione, gli offrì in forma ufficiale la nomina a Torino e Moleschott accettò. Vigeva allora, dal 1859, la legge Casati, che aveva riformato l’Università ed aveva stabilito norme precise anche sulle nomine e sulle carriere dei professori. Un professore poteva essere allontanato dal suo posto o per condotta indegna, oppure perché gravemente ammalato e non in grado di svolgere il suo compito. Nessuno di questi casi poteva applicarsi al Berruti. La nomina di Moleschott avvenne perciò con un atto di imperio non previsto dalla legge vigente. Berruti si chiuse nella sua amarezza, ma non protestò. La Facoltà, di cui Berruti, nominato emerito, continuava a far parte, non fu però tenera con Moleschott. Quando questi, per legge, presentò il suo programma di insegnamento, ci furono vivacissime opposizioni. La Facoltà non lo incluse nemmeno nella Commissione di esame di Fisiologia, che continuò ad essere presieduta dal Berruti, mentre Moleschott venne relegato nella Commissione di esami di Biologia generale.
Ci fu però un membro della Facoltà, uno solo, che, dopo avere frequentato assiduamente le lezioni di Moleschott, ne rimase affascinato: Giuseppe Timermans. Nel 1864 Timermans, che era Clinico Medico, fondò l’Istituto Clinico Medico, corredato da laboratori e da attrezzature necessarie per le sperimentazioni. Accanto a Moleschott, inoltre, affluirono molti giovani che furono da lui avviati ai metodi sperimentali, compreso quello dell’istologia, fino allora praticamente ignorata a Torino, ove anche gli anatomici si limitavano alla macroscopica. Tra i giovani, vanno ricordati Angelo Mosso, Luigi Pagliani, Simone Fubini.
Anche per quanto riguarda l’opinione pubblica, Moleschott guadagnò lentamente terreno, specialmente per mezzo di incontri e conferenze, in cui cercò di far capire che lui non negava Dio, ma si limitava a separarlo dalla Scienza. Credere era un fatto metafisico, la Scienza apparteneva a questo mondo e progrediva attraverso le dimostrazioni sperimentali.
In Facoltà si era affermata l’abitudine di nominare i professori sulla base dell’articolo 69 della legge Casati, che permetteva la nomina diretta, senza concorso, a chi si fosse particolarmente distinto nella scienza e nella didattica: in seguito questo tipo di nomina venne definito “per chiara fama”. Moleschott si batté a oltranza contro questo andazzo. La battaglia fu particolarmente violenta per le nomine sulla cattedra di Anatomia. Dopo il Demichelis, anatomico non particolarmente distinto, era stato proposto per la nomina il Restellini, che certo non brillava per importanti scoperte. Moleschott voleva il concorso, ma restò solo e Restellini fu nominato. Morto subito dopo il Restellini, la cosa si ripeté per il De Lorenzi, altro frutto non brillante della scuola torinese. Moleschott sostenne i diritti di candidati esterni, ma anche di un giovane anatomico torinese, il Saviotti, che era stato laboratori esteri (soprattutto da Kölliker a Würzburg), ove aveva imparato l’istologia. I suoi lavori erano decisamente validi, non così quelli del De Lorenzi, sosteneva il fisiologo olandese. Saviotti fu proposto al Ministro per un incarico di Istologia fisiopatologica, ma disgraziatamente morì prima di iniziare il corso. La Facoltà, dopo lunghe discussioni, finì per proporre al Ministro la nomina a professore ordinario del De Lorenzi. Moleschott non volle partecipare alla seduta finale. Il Ministro però, lasciò senza risposta la nomina del De Lorenzi a professore ordinario. Qualcosa Moleschott aveva ottenuto, anche se non in facoltà. Probabilmente la sua resa sul caso De Lorenzi avvenne grazie ad un accordo maturato fuori seduta. In una seduta del Consiglio di Facoltà successiva, in cui si doveva provvedere all’insegnamento di Patologia Generale, sino allora tenuto da Gioachino Fiorito, e rimasto vacante, fu infatti lo stesso Casimiro Sperino, che era stato uno degli avversari più decisi di Moleschott nella questione De Lorenzi, a chiedere che sulla cattedra vacante si aprisse un concorso; e ciò nonostante che un dottore aggregato, Giudice, che aveva assunto provvisoriamente l’incarico, reclamasse per sé una nomina attraverso l’articolo 69 della legge Casati. Un cambiamento così radicale presuppone un accordo extra moenia, e probabilmente fu questo il prezzo pagato a Moleschott perché cessasse la sua opposizione al De Lorenzi.
Il concorso fu espletato regolarmente, ed il vincitore fu Giulio Bizzozero: ciò avvenne nel 1872. Bizzozero era passato, nel frattempo, e subito dopo la laurea, dal Laboratorio di Oehl a quello di Patologia sperimentale creato per lui da Paolo Mantegazza, che a quel tempo copriva, a Pavia la cattedra di Patologia Generale. Il giovane studioso aveva già allora contatti con patologi ed istologi tedeschi, specialmente con Rudolph Virchow, con Kölliker e con lo svizzero Heinrich Frey.
Aveva già fatto importanti scoperte: nel 1865 aveva scoperto la funzione emopoietica del midollo delle ossa, condividendo la scoperta col tedesco Neumann; aveva poi scoperto i megacariociti, le tonofibrille delle cellule spinose della cute, e la fagocitosi, ben prima di Metchnikoff. Aveva coagulato intorno a sé un buon numero di allievi appassionati: Camillo Golgi, l’oculista Manfredi, il chirurgo Bassini, il medico Camillo Bozzolo, ed inoltre Pio Foà, Luigi Griffini, Gaetano Salvioli, Guido Tizzoni, tutti destinati a vincere concorsi di Patologia Generale o di Anatomia patologica. Nella Facoltà di Patologia Generale o di Anatomia Patologica. Nella Facoltà di Pavia imperava però ancora il vitalismo, soprattutto ad opera del celebre anatomico Bartolomeo Panizza e dell’anatomo-patologo Sangalli. Quando Mantegazza si trasferì a Firenze per seguire la sua passione antropologica, Bizzozero, che dirigeva il Laboratorio, ebbe l’incarico di Patologia Generale. Se a Pavia aveva ostacoli, evidentemente egli pensava di averne meno a Torino, soprattutto per le sollecitazioni a concorrere che aveva ricevuto da Moleschott e da Timermans, nel frattempo divenuto Rettore. Bizzozero vinse, e venne nominato professore col 1° Novembre 1872. Chiaramente Pavia non lo aveva compreso, perché la direzione del Laboratorio di Patologia sperimentale fu affidata a Golgi, ma l’incarico di insegnamento venne affidato al medico costituzionalista De Giovanni, che aveva certo un altro concetto della Patologia Generale.
Bizzozero ottenne subito, per decreto rettorale, due stanze nei locali dell’Anatomia all’Ospedale S. Giovanni. Presentò, a termini di legge, il suo programma, nel quale definiva i limiti della disciplina, ed escludeva la Semeiotica, la Diagnostica ed i principi di Terapia, che erano invece nel programma del suo predecessore. Ciò provocò discussioni accanite, che avevano per base proprio la falla che si apriva nell’insegnamento. Alla fine, la Facoltà decise di pubblicare il programma, visto che gli studenti lo attendevano e non c’era tempo per un rinvio, senza però dare al programma stesso un’approvazione formale. Bizzozero, che era stato seguito a Torino da Tizzoni, Bozzolo e Gaetano Salvioli, dette subito inizio al suo insegnamento ed alle sue sperimentazioni. Ben presto attrasse numerosi altri collaboratori, come Carlo Sanquirico, Benedetto Morpurgo, Giorgio Vassale e, più tardi, Pietro Canalis, Donato Ottolenghi, Cesare Sacerdotti. Numerosi altri medici chiesero il suo consiglio e lavorarono con lui: Ignazio Fenoglio, il dermatologo Giacomo Gibello, i giovani oculisti Falchi, Tartuferi, e molti altri. Una battuta d’arresto Bizzozero ricevette dalla prematura morte del suo protettore, il Rettore Giuseppe Timermans. La conseguenza fu la perdita delle due stanze in Anatomia, che non vennero sostituite da altre, Bizzozero, allora organizzò un laboratorio a casa sua, in via Nizza, e là sperimentò e ricevette gli studenti per oltre quattro anni.
Nel 1876, finalmente, ottenne poche stanze presso l’ex Convento di S. Francesco da Paola, in via Po, ove erano ospitati, oltre all’Istituto di Fisiologia, altri Istituti Biologici, quelli Chimici e Chimico-Farmaceutici. Fu in questa sede che Bizzozero costituì una Scuola fiorente ed ebbe i primi assistenti di ruolo. Continuò a lavorare sul tema principale dell’Ematologia e su quello dei tumori facendo scoperte fondamentali, come quella delle piastrine come terzo componente morfologico del sangue e sulla loro funzione nella coagulazione e nella trombosi, comunicata per la prima volta all'Accademia di Medicina l’11 dicembre 1881. Grazie anche al clamore internazionale delle sue scoperte, Bizzozero cominciò ad essere ascoltato sempre più dai colleghi. D’accordo con Moleschott, combatté in Facoltà perché si abbandonasse il vecchio metodo delle promozioni dei professori in base all’articolo 69 della legge Casati (“chiara fama”) e perché le cattedre venissero coperte mediante concorso. Nelle sue battaglie accademiche Bizzozero metteva sempre il suo buon senso e la sua capacità di convincimento, arti diplomatiche che furono ampia parte del suo successo. Sul piano didattico, non si limitò a insegnare la Patologia Generale secondo le sue convinzioni,ma insegnò anche, mediante corsi liberi, l’Istologia, che a Torino era stata sino allora molto trascurata dagli anatomici. A parte il Saviotti, che morì prematuramente, ed a parte il Moriggia (andato poi professore di Fisiologia a Roma) e Simone Fubini, pochi praticarono l'Istologia.
Fino all’avvento dell’anatomico Romeo Fusari, che era allievo di Golgi, a sua volta allievo di Bizzozero, gli anatomici torinesi insegnarono soprattutto la macroscopica e, sul piano scientifico, si occuparono di ricerche che avevano di mira l’evoluzionismo darwiniano. Celebri le ricerche del Giacomini sui mostri e sulle varianti anatomiche dei vasi, sulla struttura del cervello e sui suoi movimenti (condotta quest’ultima in collaborazione con Angelo Mosso), nonché sui Negri; e famosa restò pure l’opera dell’aiuto del Giacomini, Giuseppe Sperino, nipote di Casimiro, sull’anatomia del “Cimpanzé”. La prima grossa battaglia vinta da Moleschott e Bizzozero fu quella relativa alla nomina del Giacomini, che era aperto alle novità in quanto convinto darwinista.
Moleschott, nel 1878, passò per trasferimento a Roma, e Bizzozero rimase quindi solo a combattere la battaglia del positivismo. Il posto dell’olandese toccò al suo allievo Angelo Mosso, che qualche anno prima era stato nominato professore di Materia Medica grazie ad un colpo di mano di Moleschott. Sino allora la Materia Medica era stata insegnata da un dottore aggregato, che professionalmente era un dermatologo, ed occupava anche un posto di Primario di Dermatologia all’Ospedale S. Luigi. La Facoltà aveva proposto per lui il rinnovo, dell’incarico, ma il Ministro aveva nominato Angelo Mosso, che non era neanche libero docente, né professore aggregato. La cosa aveva suscitato grandi proteste in facoltà, che considerava un’illegalità il sopruso del Ministro. Mosso seppe però far bene come professore, e la sua successione a Moleschott, avvenuta sulla base della “chiara fama” non trovò contrasti. L’incarico di Materia Medica passò a Piero Giacosa, che aveva passato lunghi mesi all’estero ed aveva anche avuto, nel laboratorio di Mosso, l’incarico di Chimica Fisiologica.
Mosso, che era stato anche lui a lungo in laboratori stranieri, soprattutto in Germania col Ludwig, inaugurò una serie di celebri ricerche sperimentali. Studiò sopratutto le funzioni dei muscoli e quelle dei vasi, specialmente cerebrali. Introdusse l’uso dei chimografi, apparecchi consistenti di cilindri rotanti intorno ai quali veniva arrotolata carta affumicata. Su questa venivano registrati, per mezzo di una penna scrivente i movimenti degli organi ai quali la penna era stata previamente connessa. Mosso studiò anche la respirazione e le funzioni dell’emoglobina (la famosa curva di dissociazione dell’ossigeno dall’emoglobina è opera sua), ricorrendo anche alla sperimentazione condotta a grandi altezze.
I famosi laboratori del Monte Rosa, al Rifugio Regina Margherita e poi al Col d’Olen, da lui costruiti, furono la sede di ricerche non solo da parte di Mosso e dei suoi allievi, ma anche da parte di numerosi ricercatori stranieri. Mosso è quindi ancora oggi considerato un antesignano della fisiologia delle altezze (aeronautica e spaziale). Fu anche un grande volgarizzatore. I suoi libri
Una grande battaglia condotta da Bizzozero fu quella riguardante la Anatomia Patologica. Era stata insegnata per molti anni dal vitalista Sisto Germano Malinverni, che si era dedicato all’attività professionale come medico e non aveva mostrato propensione alle novità.
Bizzozero appoggiò la nomina al suo posto del giovane Vittorio Colomiatti, che veniva da Pavia, dove aveva lavorato con Bizzozero. Colomiatti divenne dapprima, per concorso, straordinario di Istologia patologica, indi ordinario di Anatomia Patologica. Morì però poco dopo, ed il problema di una nuova Anatomia patologica tornò a porsi. Bizzozero, che fece parte della commissione del concorso relativo, appoggiò la candidatura del suo allievo Pio Foà, che al momento era ordinario a Modena. Foà vinse e da allora Bizzozero poté contare sull’appoggio importante di un allievo fidato. Alla Scuola di Foà sorsero un gran numero di anatomopatologi di grande valore, che occuparono posizioni di prestigio in numerose Università italiane. Insieme con gli allievi di Bizzozero, che “colonizzarono” anch’essi numerose Università italiane, portando le idee del Maestro.
Torino divenne punto di riferimento per la Scienza Patologica italiana.
Altre grandi conquiste delle idee di Bizzozero si ebbero nella Clinica Medica. Dopo la morte del Timermans, la cattedra era andata, per concorso al Rovida, un giovane cresciuto a Pavia nell’ambiente bizzozeriano. Era stato anche lui a lungo all’estero, ed aveva lavorato sperimentalmente. Disgraziatamente Rovida morì giovanissimo di tubercolosi; dopo alcuni anni, nei quali la cattedra di Clinica Medica venne tenuta dal Concato, illustre medico giunto a Torino per trasferimento, morto anche lui prematuramente, Bizzozero riuscì a far vincere il concorso al suo allievo Camillo Bozzolo, che restò sulla cattedra torinese fino al 1920, e la illustrò sia con le sue ricerche ematologiche (il mieloma multiplo, detto ancora oggi malattia di Kahler-Bozzolo), fu uno dei suoi argomenti preferiti, sia con la scoperta, condotta insieme al parassitologo Edoardo Perroncito, che aveva sposato la figlia di una sorella di Bizzozero, dell’Anchylostoma duodenale, agente dell’anemia dei minatori del S. Gottardo. Da Bozzolo deriva la Scuola Medica torinese, ancora oggi operante.
In seguito venne chiamato in Facoltà anche Carlo Forlanini, che era imparentato con Paolo Mantegazza, maestro di Bizzozero. Aveva studiato a Pavia, ormai divenuta fucina di ricerche sperimentali, prima per opera di Bizzozero, poi di Golgi. Forlanini scoprì lo pneumotorace come mezzo di cura delle caverne tubercolari del polmone. Il suo Aiuto Scipione Riva Rocci scoprì lo sfigmomanometro, ancora oggi usato per la misurazione della pressione arteriosa.
Altra conquista di Bizzozero fu la chiamata di Sebastiano Giovannini a coprire la cattedra di Dermatologia, ormai vacante per la morte del Gibello. Giovannini veniva da Modena, ed aveva lavorato a lungo con Guido Tizzoni, professore di Patologia Generale a Bologna, uno dei primi allievi di Bizzozero.
Dopo la morte del Giacomini, si riaprì il problema della Anatomia. Fu per iniziativa ed impegno di Bizzozero che la Facoltà chiamò Romeo Fusari, che era allievo di Camillo Golgi. Fusari aprì la linea di ricerca istologica in Anatomia, che doveva raggiungere la sua vetta con la chiamata, dopo la morte di Fusari, del grande Giuseppe Levi.
In Chirurgia, dopo Riberi, la scena era stata dominata da Lorenzo Bruno, suo allievo, ed anche di Giacinto Pacchiotti, chirurgo, ma anche uomo politico. Fu su di lui che Bizzozero e Moleschott puntarono per la istituzione del Consorzio Universitario, per mezzo del quale il Comune e la Provincia sostennero la ricerca scientifica. Fu con denari del Consorzio che Bizzozero poté acquistare il microscopio Hackman, provvisto di grande risoluzione, col quale scoprì le piastrine.
Morto Pacchiotti mentre Bruno avrebbe preferito sostituirlo col suo allievo Gerolamo Mo, Bizzozero operò in modo che la scelta cadesse su un giovane Primario dell’Ospedale Mauriziano che aveva dato buona prova di sé, sia come chirurgo che come scienziato, Antonio Carle. Si riaffermò con Carle, che succedette al Bruno sulla cattedra di Clinica Chirurgica, la grande tradizione della Chirurgia torinese, che doveva esprimere Daniele Bajardi (altro collaboratore di Bizzozero), e poi Ottorino Uffreduzzi, Donati, Fasiani, Achille Mario Dogliotti, Luigi Biancalana.
La Medicina Legale aveva raggiunto alti fastigi col famoso Cesare Lombroso, il quale si era battuto per la separazione da questa disciplina dell’Igiene, fino allora insegnata da uno stesso docente. La cattedra di Igiene venne occupata da Luigi Pagliani, allievo di Moleschott ed amico e collaboratore di Bizzozero. Fu grande la fama che egli seppe crearsi, che il Ministro dell’Interno lo volle a dirigere, per primo e per oltre dieci anni, la Direzione Generale di Sanità a Roma. Fu qui che egli compilò la famosa legge di Sanità (detta legge Pagliani) che per decenni costituì la base della politica sanitaria del governo. Lombroso era anche psichiatra, e sulla cattedra di Clinica Psichiatrica passò, lasciando all’allievo Mario Carrara quella di Medicina Legale. Creò una nuova disciplina, l’Antropologia Criminale, sulla quale concluse la sua carriera.
Bizzozero morì prematuramente, di polmonite, l’8 Aprile 1901. Venne sostituito dall’allievo Benedetto Morpurgo, che per oltre trent’anni condusse con onore la Patologia Generale torinese, ed ebbe gran peso anche nelle scelte di Facoltà.
La linea inaugurata da Moleschott e Timermans, e condotta a buon fine da Bizzozero, aveva trionfato, il vitalismo era praticamente scomparso. A me piace ricordare il periodo fra il 1870 ed il 1920 come il “