Dossier

La filosofia a Torino

Filosofia e teologia

Loggiato Il settecentesco Regno di Sardegna non era un luogo ideale per l’esercizio della filosofia, o almeno per la filosofia come veniva intesa in Francia, in Germania o in Inghilterra dopo Bacone, Cartesio, Locke, Newton e gli illuministi. La questione più importante era costituita dalle relazioni tra filosofia e teologia, perché i filosofi che si proclamavano “moderni” intendevano costruire le proprie teorie senza obbedire ai preti, ai quali era assegnato l’insegnamento della teologia, e anzi pretendevano di parlare anche loro, in modo autonomo, di questioni religiose. A nord delle Alpi quella rivoluzione nella mappa del sapere fu dovuta alle novità emergenti nella cultura letteraria, nella storiografia, nella politica, nella matematica, nelle scienze naturali e nelle discipline tecniche. Nel corso del Settecento anche i re di Sardegna si dimostrarono interessati alle nuove conoscenze e alle loro applicazioni, ma diffidarono delle innovazioni culturali dalle quali provenivano e che a loro volta producevano. In Piemonte l’interesse per il sapere moderno non si accompagnò, come altrove, allo spirito illuministico. La sfortuna di Alberto Radicati di Passerano mostrava che perfino il più audace dei Savoia, Vittorio Amedeo II, era pronto a esercitare il potere di despota sulla Chiesa, ma non a essere un despota illuminato. Nel corso del Settecento la filosofia continuò a essere considerata una faccenda da lasciare ai preti e a loro fu assegnato il suo insegnamento nell’università. Le discipline scientifiche potevano essere coltivate privatamente da persone che si curavano poco di filosofia e che esercitavano libere professioni, come l’avvocatura, l’architettura e il notariato, o lavoravano nell’amministrazione del regno o erano nobili che godevano di indipendenza economica. La casa privata di uno di loro fu il primo luogo nel quale si incominciò a coltivare il sapere moderno e da quella casa nel 1782 nacque l’Accademia delle Scienze, con una vicenda simile a quella di analoghe istituzioni europee, anche se in ritardo.

Palazzo dell'Accademia L’Accademia riuniva matematici, astronomi, naturalisti, ingegneri e aveva uno spiccato indirizzo applicativo: non doveva occuparsi di filosofia, riservata all’università. Questa era un tipica scuola locale, come ne erano sorte in molte città, per distribuire titoli professionali e qualche competenza in materia di teologia, diritto, medicina, oltre che per assicurare una preparazione generale di base nella Facoltà delle arti, che comprendeva gli insegnamenti che nel 1848 sarebbero stati divisi tra la Facoltà di Lettere e la Facoltà di Scienze. L’università piemontese, che non sempre operò a Torino, non si distinse in modo particolare. Il più prestigioso dei suoi allievi era stato Erasmo da Rotterdam, che non vi aveva studiato, ma vi aveva conseguito la licenza di teologia, indispensabile per un dotto come lui, che si occupava di testi sacri e di religione cristiana; un’oscura università, come quella torinese, era il posto per ottenerla senza tante storie. La nascita dell’Accademia apriva un luogo in cui si poteva coltivare un sapere alternativo a quello offerto dall’università. Ma anche qui qualche novità si era fatta strada, soprattutto per merito della Facoltà di Medicina. Mazza della Facoltà di Medicina Che la Rivoluzione francese fosse la figlia diretta dell’illuminismo è una leggenda, messa in circolazione soprattutto dai nemici dell’illuminismo e della Rivoluzione francese: quando questa scoppiò molti illuministi erano morti, alcuni furono eliminati dai rivoluzionari, altri ebbero una vita difficile sotto i governi rivoluzionari. In Piemonte guardarono con interesse alla Rivoluzione francese, più che gli accademici, i membri della Facoltà di Medicina. Quando i francesi invasero il Regno di Sardegna trovarono a Torino un partito giacobino in cui i professori della Facoltà di Medicina erano ben rappresentati.

Il partito giacobino realizzò una profonda riforma dell’insegnamento e dell’università. L’insegnamento della teologia fu abolito e con esso quello della filosofia, come di altre discipline tradizionali, quale l’eloquenza. Erano i medici a ispirare le riforme e molti insegnanti, soprattutto quelli di teologia e di filosofia, che erano preti, furono espulsi dall’università. I programmi giacobini furono attenuati sotto il regime napoleonico, che rivalutò anche l’Accademia delle Scienze, un’istituzione di origine regia. Questa subì però una trasformazione, perché fu divisa in due classi, una dedicata alle scienze fisiche, matematiche e naturali, l’altra alle scienze morali, e proprio qui trovarono rifugio i professori che non potevano essere inseriti nel nuovo ordinamento universitario. Con la Restaurazione tutto sembrò tornare come prima: nell’università ricomparvero i vecchi insegnamenti e quelli di filosofia furono riservati agli ecclesiastici, ma ora perfino l’Accademia delle Scienze ospitava le discipline che un tempo erano state considerate rappresentative di un sapere antiquato.

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