Dossier

La filosofia a Torino

Filosofia e scienza

Con Passaglia incominciavano ad arrivare a Torino professori che appartenevano ad altre regioni italiane. Nel 1878 vi giunse Pasquale D’Ercole, un pugliese che aveva studiato a Napoli, dove era stato discepolo di Basilio Puoti e di Francesco De Sanctis.Appunti di D'Ercole Con quest’ultimo si era accostato alla filosofia hegeliana, ma poi aveva fatto esperienza diretta della filosofia tedesca, studiando a Berlino con Michelet, Trendelenburg e Mommsen. A Napoli aveva però finito con l’avvicinarsi ad Augusto Vera, cioè al rappresentante dell’hegelismo più conservatore. D’Ercole arrivò a Torino dopo essere stato nel 1862 professore di Filosofia teoretica a Pavia, dove era succeduto a Ruggero Bonghi, con il quale dirigeva la Rivista delle scuole italiane.

Quando D’Ercole giunse a Torino era ormai tempo di critica del positivismo, un rito al quale per un rispettabile filosofo accademico era difficile sottrarsi. D’Ercole infatti non si sottrasse e se la prese con il positivismo italiano, rappresentato da Roberto Ardigò, che gli sembrava troppo incline al materialismo. Ma il positivismo di Comte e di Spencer erano un’altra cosa. A Spencer si doveva un evoluzionismo raffinato, in cui D’Ercole vedeva una forma di vitalismo universale, che giungeva ad attribuire la vita ai vegetali e addirittura alle cellule: un’idea che non gli sembrava troppo azzardata, dopo lo sviluppo della biologia cellulare in Germania. Comte poi era un filosofo dotato di spirito religioso, cosa che a D’Ercole poteva ricordare l’hegelismo di destra appreso da Vera. Sia i temi religiosi, che a Berti e a Passaglia erano suggeriti dai problemi posti dal Risorgimento, sia il vitalismo, presente anche in Bertini, erano trattati da D’Ercole in una prospettiva hegeliana in cui spirito e natura si compenetravano profondamente. D’Ercole ritenne di aver trovato in Pietro Ceretti, una singolare figura di filosofo e poeta di Intra, l’espressione di uno spiritualismo vitalistico soddisfacente, tanto da farsi curatore delle sue opere. Così D’Ercole che aveva avuto esperienze internazionali ed era vissuto in centri importanti della cultura filosofica italiana, finiva con il diventare esegeta di un personaggio locale e con lo scoprire un mondo piemontese marginale.

D’Ercole poteva non avere avuto la mano felice nella scoperta di Ceretti, ma uno spiritualismo un po’ letterario e un po’ religioso era di casa a Torino ed emergeva in un Arturo Graf come in un Piero Martinetti. Con Graf si era laureato in Lettere nel 1892 Annibale Pastore, che successivamente, nel 1903, si sarebbe laureato in

filosofia con D’Ercole, cui succedette nel 1914. In Graf aveva incontrato un positivismo che nella storia letteraria trovava un campo di applicazione significativo; ma anche i tormenti e le insoddisfazioni per l’immagine inospitale del mondo che al positivismo si imputava. Su questa base si sviluppava l’interesse per l’Oriente, coltivato dal linguista Flechia e che tanto vivo si manifesterà in Martinetti, studente della facoltà torinese. Ma il positivismo era stata anche la matrice nella quale era cresciuta in città una vivace cultura scientifica, che aveva dato frutti cospicui nel campo dell’elettrologia e della biologia. In particolare i biologi si erano mostrati capaci di mettere a punto strumenti fisici per l’osservazione e la misura dei processi biologici. Angelo Mosso insegnava Fisiologia umana nella Facoltà di Medicina ma anche in quella di Lettere e in quella di Scienze. Un suo assistente, Friedrich Kiesow, che si era formato a Lipsia con Wilhelm Wundt, sarebbe diventato nel 1906 professore di Psicologia sperimentale, la disciplina che, in luogo della fisiologia, avrebbe mantenuto un certo legame tra la facoltà letteraria e le facoltà scientifiche.

Pastore studiò con Mosso e con Kiesow e conobbe da vicino la cultura scientifica torinese, ma non soltanto quella che si era sviluppata nella Facoltà di Medicina, perché a Torino anche la matematica era una disciplina coltivata con successo, e tra i matematici torinesi c’era Giuseppe Peano, uno scienziato eminente, ma anche piuttosto originale nel panorama della matematica mondiale. Le sue idee potevano attirare l’attenzione dei filosofi, e di fatto avevano attratto l’attenzione di Bertrand Russell. E tra i filosofi torinesi Pastore lo aveva frequentato.

Giuseppe Peano in una fotografia (1930) Peano aveva cercato di formulare gli assiomi fondamentali dell’aritmetica in un linguaggio simbolico nuovo, capace di esprimere con il rigore proprio della matematica nozioni, spesso esposte intuitivamente dai logici, più generali di quelle matematiche tradizionali. Pastore visse l’atmosfera, caratteristica della cultura filosofica del primo Novecento, percorsa dalla fiducia nella nuova logica, che faceva uso di notazioni matematiche. Ma era uno spirito inquieto e curioso, e pensava che, se non ci si fosse fatti paralizzare dal principio di identità, cui sia la logica classica sia la nuova logica matematica si erano attenute, si sarebbe potuto andare oltre i risultati ottenuti da Peano. Pensava di poterlo fare con una “logica del potenziamento” di sua invenzione, che cercò perfino di implementare, affidando a tecnici la costruzione di apposite apparecchiature elettriche. La logica del potenziamento non portò da nessuna parte; tuttavia Pastore mostrò un entusiasmo forse imprudente per la scienza contemporanea, pensando di poter utilizzare lo strumento da lui inventato per andare oltre la teoria della relatività e la meccanica quantistica.

La filosofia di Pastore risentiva molto della cultura cittadina, mentre un altro personaggio venuto a insegnare Filosofia morale nel 1901 doveva portare temi più affini a quelli che si incontravano nelle università europee agli inizi del secolo. Paolo Raffaele Trojano, uscito dalla scuola napoletana come D’Ercole, introduceva a Torino la moda neokantiana, che in Italia si era affermata in università come quelle di Pavia e Firenze. Il suo kantismo era temperato da ampi riconoscimenti al sentimento, perché egli temeva che un ricorso troppo drastico alla ragione avrebbe finito con lo spianare la strada all’utilitarismo. Infatti l’utilitarismo si avviava a diventare l’equivalente polemico del positivismo, contro il quale tanto aveva combattuto D’Ercole. Anche Erminio Volfango Juvalta, che arriverà a Torino nel 1915 continuerà nella polemica contro l’utilitarismo.

L’utilitarismo era una sfida per dei kantiani abituati a costruire l’etica sotto la guida della sola ragione e come un sistema di legislazione ideale. Positivisti e utilitaristi avevano posto alla base dell’etica “fatti”, come diceva Spencer, analisi psicologiche, calcoli. Juvalta aveva studiato a Pavia con Carlo Cantoni e dunque era di formazione kantiana, ma accettava la sfida dell’utilitarismo e cercava di dare una base empirica ai principi generali kantiani. Dei professori di filosofia che insegnarono nell’Ateneo torinese tra le due guerre mondiali è quello che ha lasciato il miglior ricordo di sé, per la sua misura e il suo garbo, e anche per il suo modo sobrio di scrivere di filosofia, tanto che dopo la seconda guerra mondiale i suoi saggi furono studiati e ripubblicati più di una volta.

Congresso Bologna Nel 1915 era arrivato a Torino, sulla cattedra di Storia della filosofia, anche Adolfo Faggi che, come Juvalta, proveniva da Pavia, dove aveva risentito del kantismo di Cantoni. Ma prima che a Pavia, Faggi aveva studiato a Firenze con Alessandro Chiappelli, e già qui doveva essere venuto in contatto con il kantismo di Felice Tocco. Faggi era persona schiva, come Juvalta, ma più introverso, con una vena malinconica e pessimistica, che gli faceva apprezzare la filosofia di Eduard von Hartmann, del quale nella Facoltà di Lettere di Torino aveva incominciato a parlare già D’Ercole. Dopo gli entusiasmi non sempre giudiziosi di Pastore e accanto al dignitoso kantismo di Juvalta, Faggi s’inseriva forse non male nel clima della facoltà torinese, segnato da Graf, vissuto dal giovane Martinetti e che avrebbe influito su personaggi come Carlo Mazzantini e Augusto Del Noce, eredi della cultura filosofica dominante nella Facoltà di Lettere torinese prima dei grandi cambiamenti degli anni trenta. Con Juvalta, Faggi e Pastore la filosofia accademica torinese era stata del tutto in linea con il clima filosofico prevalente prima che l’idealismo diventasse il termine di riferimento dominante. Nonostante la modestia culturale di alcuni di loro, quei professori partecipavano alla discussione su kantismo e positivismo, che caratterizzava tanta parte della cultura europea, e Pastore cercava di collegare, magari pasticciando, l’hegelismo di D’Ercole con la logica di Peano e la fenomenologia di Husserl.

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