Dossier

Le scienze economiche a Torino tra metà Settecento e metà Novecento

Dal declino di metà Ottocento al risorgere degli studi economici con Cognetti de Martiis e il Laboratorio di economia politica

A metà Ottocento l’economia politica conosce un periodo di crisi, segnato dal declino dell’economia ricardiana nella sistemazione data da John Stuart Mill. Questa economia è criticata nei suoi fondamenti teorici e soprattutto per le debolezze della teoria del valore lavoro. L’insufficienza della sistemazione teorica milliana, gli attacchi della scuola storica tedesca, lo stretto legame con il liberismo, trasformarono l’economia politica, nelle parole di Joseph A. Schumpeter, in «semplice armamentario di argomentazioni liberali» in ambiti in cui l’interesse era volto a problemi pratici. Ciò fece sì che sempre meno all’economia politica venisse riconosciuto il carattere di scienza.

Con gli anni settanta l’economia conobbe l’inizio di una nuova rivoluzione che tese a riaffermare il carattere scientifico della disciplina e reagire alle critiche della scuola storica. Si tratta della rivoluzione neoclassica o marginalista di Jevons, Menger, Walras, Marshall e Edgeworth, che è in gran misura alla base dell’economia ortodossa contemporanea.

In Italia, nella seconda metà dell’Ottocento, tende a prevalere un pensiero eclettico, con un sottofondo marcatamente storicista per l’influenza del pensiero tedesco, ovvero del «germanismo economico», come sprezzantemente lo definì Ferrara. Questo portava a un atteggiamento scettico circa le virtù del libero mercato e tendenzialmente interventista nelle cose economiche. Questo atteggiamento era in parte dovuto alla valutazione delle difficoltà dello sviluppo in un’Italia arretrata sul piano economico e civile. I risultati della famosa ‘Inchiesta industriale’ avviata da una commissione presieduta da Scialoja, con l’obiettivo di esaminare gli effetti della politica commerciale liberista seguita dai governi della Destra storica, mostravano il profilo di un ceto imprenditoriale privo di una visione matura del futuro industriale del paese, desideroso di ricevere il sostegno dello stato, ancorato a una visione paternalistica dei rapporti sociali, contrario a trasformazioni istituzionali in senso liberale. L’inchiesta fu decisiva nell’adozione di una politica protezionistica da parte del governo. La contemporanea controversia tra scuola ferrariana e anti-ferrariana ebbe per oggetto questioni di politica economica. Il dibattito teorico e metodologico fu messo da parte. L’Italia fu così inizialmente scarsamente coinvolta nella rivoluzione marginalista: solo sul finire degli anni ottanta con Maffeo Pantaleoni e poi nel decennio successivo con Vilfredo Pareto e Enrico Barone essa assorbì i nuovi indirizzi teorici e contribuì a svilupparli entrando nel suo «periodo aureo» (come lo definì Joseph A. Schumpeter). Un periodo che durerà fino agli anni trenta, durante il quale l’Italia «non fu seconda ad alcuno» grazie all’alto livello raggiunto in tutti i campi d’applicazione e alle personalità di primo piano che promossero la ricerca.

Il tratto dominante comune della scienza economica in Italia tra Ferrara e Pantaleoni è un generale spirito positivistico che pervade la ricerca. Abbiamo il prevalere comunque dei problemi pratici posti dall’unificazione del paese, come l’unificazione del sistema monetario nazionale. La lira diventa l’unità monetaria legale e di conto in tutto il Regno. Il bimetallismo di tipo francese a rapporto fisso oro-argento in vigore nel Regno di Sardegna viene esteso a tutto il Regno. Tra i problemi pratici anche l’unificazione del sistema fiscale sul modello piemontese, l’unificazione amministrativa e legislativa, la politica commerciale da adottare in un periodo in cui la congiuntura economica internazionale conosceva molte crisi.

Dopo che Ferrara lasciò Torino nel 1859, gli subentrò sulla cattedra torinese di economia politica il savoiardo Gian Giacomo Reymond (1831-1902). Ripetitore non originale delle lezioni ferrariane, Reymond si impegnò soprattutto nella diffusione dell’economia politica partecipando ad iniziative quali la Società di economia politica - fondata a Torino da Giovanni Arrivabene e da un gruppo di intellettuali e politici tra cui, oltre a Cavour, figuravano Minghetti, Iacini, Lanza, Borsellini, Boccardo e Scialoja. Scopi dell’associazione erano la promozione degli studi economici e la discussione, sul solco dell’indirizzo liberista, dei problemi di politica economica posti dall’unificazione.

Gli studi economici a Torino ricevono un nuovo impulso con l’assegnazione nel 1878 della cattedra di economia politica al pugliese Salvatore Cognetti de Martiis (1844-1901). A Torino Cognetti trascorse il resto della vita scrivendo le sue opere maggiori, tutte imbevute di spirito positivistico. Egli impresse alla scienza economica torinese una svolta di grande importanza. La sua lezione inaugurale, dal titolo Forme e leggi delle perturbazioni economiche, segna un netto distacco con la tradizione ferrariana. La crisi dell’economia classica viene posta in relazione con la depressione economica iniziata nei primi anni settanta. Una depressione alla quale l’economia classica non avrebbe saputo dare una risposta adeguata a causa del suo carattere essenzialmente deduttivo. Nel modello economico di Cognetti si cerca di conciliare induzione e deduzione nell’intento di rendere scientifico il sapere economico, ponendolo accanto, se pur distinto, a quello proprio delle scienze fisiche, ritenute ancora ingenuamente assolute. Cognetti dà un ruolo cruciale allo studio dei fatti, dai trascorsi storici o da dati statistici, ricercandone caratteristiche e peculiarità. Egli propone una chiave di lettura collegata ad un approccio evoluzionista. Si tratta di una sorta di darwinismo economico che dà il segno distintivo al suo pensiero nel periodo torinese: dalle forme primitive dell’economia allo sviluppo dei movimenti socialisti; dallo studio sulla politica commerciale a quello sulla mano d’opera nel sistema economico. Sono i temi esposti nei suoi principali scritti torinesi: Le forme primitive nella evoluzione economica (1881) e Socialismo antico (1889).

Nel 1893 Cognetti fondò il Laboratorio di economia politica, presso la facoltà giuridica dell’Università di Torino, dove è l’origine della scuola di economia torinese. Il Laboratorio si insediò in via Po 18 nei locali dell’antico Laboratorio di patologia generale di Giulio Bizzozzero, occupandone due stanze alle quali se ne aggiunsero altre due del Laboratorio di Medicina legale di Cesare Lombroso. Il Laboratorio fu istituito con lo scopo di «promuovere e agevolare lo studio dei fenomeni della vita economica e delle questioni che vi si riferiscono, simile nella sua organizzazione e nei suoi fini ai giustamente famosi seminari di scienze di stato della Germania, al Museo sociale di Parigi, alla Scuola economica di Londra e ai collegi economici degli Stati Uniti d’America».

Esso si configurava come un’officina di pensiero economico e sociale, nella quale i giovani studenti di giurisprudenza e gli allievi ingegneri del Regio Museo si confrontano. Vi si producono inchieste, si raccolgono dati, si scrivono saggi intorno agli argomenti di carattere economico e sociale di più vivo interesse: non solo indagini statistiche, ma anche teoriche. L’intero sapere economico è oggetto delle discussioni interne del Laboratorio, entro un rigoroso approccio positivista, metodo della intellighenzia italiana tardo-ottocentesca e di quella torinese in particolare, immersa in una realtà industriale in formazione. In questi anni - gli anni in cui inizia la cosiddetta età dell’oro del capitalismo mondiale che durerà fino alle soglie della prima guerra mondiale - prende l’avvio il «decollo industriale», ad indicare una sostanziale discontinuità con la fase precedente, in quanto mutarono alcune caratteristiche qualitative del processo di industrializzazione.

Assumono un rilievo importante la crescita delle industrie meccanica, siderurgica, elettrica e chimica – i settori tipici della seconda rivoluzione industriale -, anche se i settori tradizionali restano predominanti, a indicare il divario ancora esistente tra l’Italia e i paesi più sviluppati. Torino si afferma come leader del processo di industrializzazione e polo industriale nazionale. La città è quindi al centro del fenomeno di modernizzazione italiana con le conseguenze che vi si accompagnano: la presa d’atto degli effetti sociali del processo di industrializzazione e del ciclo economico che alterna crescita a rallentamenti e crisi, e quindi l’emergere drammatico della problematica sociale e il crescere delle rivendicazioni dei lavoratori, l’introduzione di provvedimenti di legislazione sociale.

Il 1898 è l’anno-soglia di un ciclo decennale di intensa crescita dell’economia ed è importante per Cognetti e per il suo Laboratorio per due ragioni.

Esposizione nazionale del 1898 Anzitutto il Laboratorio partecipa all’Esposizione nazionale con lavori che ottengono grande successo. Si tratta di due lavori sull’emigrazione; una carta mineraria mondiale; una carta commerciale italiana e uno studio sul commercio nella colonia eritrea durante il decennio 1885-’95. Il primo dei due lavori sull’emigrazione è costituito da uno stereogramma raffigurante l’emigrazione italiana dal 1876 al 1896, il secondo da un diagramma dell’emigrazione europea in Argentina, Brasile e Stati Uniti - l’intenso flusso migratorio era diventato una caratteristica cruciale dell’economia e della società italiana e lo sarà per vari decenni. Inoltre nella sezione dedicata alla città di Torino, vennero presentate due piante geometriche con le indicazioni dell’ubicazione della piccola industria e del commercio e un’altra con quella dei grandi stabilimenti industriali. Gran parte degli allievi del Laboratorio partecipò alla loro realizzazione. Torino era socialmente in fermento grazie ai rapidi progressi industriali e tecnologici che si stavano verificando in quegli anni. Non a caso l’anno successivo nacque la FIAT. Nel Laboratorio l’interesse per le questioni cittadine si intreccia con l’attenzione verso i problemi del mondo del lavoro. Lo Statuto del Laboratorio prevede infatti l’iscrizione di redattori di giornali locali e delle rappresentanze di società operaie in qualità di soci speciali.

L’altro evento di rilevante importanza che accade nel 1898 è il riconoscimento del Laboratorio di Economia Politica come Istituto annesso simultaneamente alla Regia Università e al Regio Museo Industriale. Il Museo industriale italiano era sorto nel 1862 con il duplice scopo di concorrere alla formazione industriale e professionale di tecnici qualificati e di mostrare all’estero la situazione industriale italiana in forte sviluppo. Il Regio Museo diventa l’espressione del positivismo empirico e dello sperimentalismo applicato trionfanti. È la concreta realizzazione di un’istruzione in grado di insegnare capacità tecniche unite a rigore scientifico. Cognetti ritiene non solo possibile, ma anche doveroso, applicare il metodo empirico e gli strumenti analitici delle scienze fisiche anche a quelle sociali e in particolare all’economia. Secondo Cognetti il Laboratorio deve rappresentare per l’economia politica quello che il Regio Museo è per la fisica, la chimica, l’elettrotecnica e la meccanica. Tanto radicata è in Cognetti questa idea, che egli entra nel 1883 a far parte del corpo docente del Regio Museo, come professore incaricato di Economia e Legislazione industriale, posto che verrà poi ricoperto, dopo il 1901 e fino al 1935, da Luigi Einaudi. Il corso destinato agli allievi ingegneri è dedicato specificatamente alla natura e all’organizzazione dell’industria secondo uno schema espositivo che si ispira, tanto nella descrizione dei vari tipi di industrie, quanto nella trattazione dei fattori produttivi, al libro quarto dei Principles di Alfred Marshall: quello sull’organizzazione industriale. Ampio spazio ha l’aspetto del lavoro nell’azienda industriale e in particolare il reclutamento e tirocinio delle maestranze.

Giuseppe Prato, Pasquale Jannaccone e Luigi Einaudi Cognetti e i suoi allievi si riuniscono settimanalmente nel Laboratorio per discutere i problemi economici d’attualità. Nel Laboratorio si forma una schiera di studiosi formidabile: tra di essi, Luigi Albertini (futuro direttore del «Corriere della Sera»), Eugenio Masé-Dari, Luigi Einaudi, Pasquale Jannaccone, Giuseppe Prato, Emanuele Sella, Gioele Solari, i quali formano la prima generazione della scuola torinese di economia. E molti anche quelli che frequentarono il Laboratorio senza diventarne membri organici: tra questi Giovanni Vailati e Antonio Graziadei. Gli studi erano presentati sotto forma di relazione scritta, una copia della quale rimaneva nell’archivio del Laboratorio. Tutte le relazioni presentate al Laboratorio – edite e inedite – erano raccolte in volumi denominati Monografie di soci e allievi del Laboratorio di economia politica, che comprendono manoscritti, quali tesi di laurea di cui Cognetti è relatore, ed estratti da riviste. Bollettini, atti di congressi, collezioni, statistiche, atti legislativi e periodici, formano il resto del materiale scientifico a disposizione nel Laboratorio. Come ricorda Gaetano Mosca -che sarà suo successore-, Cognetti preferisce raccogliere all’interno del Laboratorio «una copia immensa di statistiche, di inchieste, di resoconti, utile per gli studiosi di ogni ramo delle scienze sociali, piuttosto che i lavori teoretici delle discipline economiche, che del resto lo studioso può dappertutto trovare».

I lavori del Laboratorio nel periodo cognettiano mostrano una notevole aderenza alle tematiche e al metodo adottato dal Maestro. Gli scritti rispecchiano i temi delle lezioni di Cognetti: studi sulla legislazione del lavoro e la questione contrattuale; analisi su natura e funzione dello sciopero; considerazioni sullo stato della disciplina economica in rapporto alla biologia e alle scienze sociali. Dalle lezioni di Cognetti e dalle relazioni dei giovani ricercatori, si evince l’interesse dei membri del Laboratorio per il «mondo socialista», ovvero con quell’insieme di associazioni, anche di tipo sindacale, che cominciano a sorgere. Sebbene Cognetti non fosse attratto dalla dottrina socialista, egli e i suoi allievi mostrano una sensibilità particolare per i problemi della classe lavoratrice, con cui sovente si schierano, fornendo dati che avvallano la legittimità di gran parte delle richieste provenienti dagli ambienti operai. Qui gli uomini del Laboratorio si differenziarono dall’antisocialismo comune a tutti gli economisti italiani dell’Ottocento. Il giovane Luigi Einaudi ad esempio, divenuto nel 1896 collaboratore de «La Stampa», scrive famosi reportage sugli scioperi del biellese del settembre 1897, nei quali si guarda con favore al sindacato come legittima espressione della volontà dei lavoratori.

Tra le collezioni del Laboratorio c’è la Biblioteca dell’economista. Cognetti accetta la direzione della quarta serie della prestigiosa Biblioteca (dopo aver già scritto prefazioni nella III serie), succedendo nel 1894 al genovese Gerolamo Boccardo. Boccardo, che a sua volta era succeduto a Francesco Ferrara, vi aveva introdotto i testi della scuola storica tedesca, ma anche economisti eterodossi e i pionieri del marginalismo. Cognetti continua sulla linea del predecessore mostrandosi aperto nei confronti delle dottrine economiche allora in circolazione in Europa e in America. Il progetto che Cognetti redasse era ampio e ambizioso: esso prevedeva anche la traduzione del Palgrave’s Dictionary, summa del pensiero economico fino ad allora e ancora in corso di pubblicazione nella stessa Inghilterra. Solo in parte egli realizzò il programma. Le lunghe introduzioni ai volumi della biblioteca sono l’occasione per Cognetti di riproporre il suo approccio positivista e il proprio metodo d’indagine empirica. La serie vide coinvolti come traduttori molti allievi del Laboratorio - da Luigi Einaudi, a Pasquale Jannaccone, a Luigi Albertini, a Attilio Cabiati – e come autori – Einaudi e Jannaccone. Proprio nei volumi della Biblioteca dell’economista cognettiana appare, dopo lunghe vicissitudini, nel 1905, la prima traduzione, di Pasquale Jannaccone, dei Principles of Economics di Alfred Marshall, l’economista cantabrigense che cercava di conciliare la nuova dottrina marginalista con il classicismo smithiano e ricardiano. L’evento è particolarmente importante perché, da un punto di vista strettamente analitico, si può affermare che la ‘prima generazione’ della scuola economica di Torino assuma come referente teorico il neoclassicismo marshalliano.

La riforma sociale Il principale canale di sbocco per la pubblicazione dei lavori degli allievi di Cognetti fu la «Riforma Sociale», la rivista fondata dall’economista lucano Francesco Saverio Nitti e dall’editore torinese Luigi Roux nel 1894. L’obiettivo della rivista era quello di raccogliere intorno a sé le maggiori firme dell’intellettualità italiana e internazionale, ed in particolare torinesi aderenti alle idealità liberali, al fine di costituire un cenacolo di ricerca nelle materie economico-politiche, giuridiche e sociologiche. Qui si intreccerà un «miscuglio» di elementi - dall’imperante positivismo, al socialismo di cattedra, alle simpatie per il fabianesimo inglese - ed emergerà una collaborazione privilegiata con il Laboratorio di economia politica che andrà accentuandosi negli anni successivi.

Anche l’Accademia delle Scienze di Torino ospita nei suoi Atti lavori eseguiti nell’ambito del Laboratorio. In effetti con la nomina di socio ordinario di Cognetti nel 1887 si assiste a un deciso ritorno dell’economia politica in Accademia: egli stesso vi presenta alcuni studi e incoraggia altri economisti a sottoporvi i loro lavori. Così il Laboratorio di Cognetti permise «la rinascita degli studi economici in Torino e quindi, in breve volgere di tempo, in Accademia»”, come ha scritto Terenzio Cozzi. Nei primi anni del Novecento l’Accademia accoglierà Luigi Einaudi, Pasquale Jannaccone e Giuseppe Prato, tutti usciti dal Laboratorio di Cognetti. Questi economisti, a cui si aggiunse all’inizio del Novecento il lombardo Attilio Cabiati, rappresentano la continuità tra l’esperienza del Laboratorio e i successivi sviluppi della riflessione di economia a Torino.

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